Un posto comodo per raccontare le cose che ci riguardano. A comfortable place where to tell what we are involved in.

Le parole dei buoni…

“Le storie che ha senso raccontare sono sempre quelle che partono dai limiti dell’autore e lo schiaffeggiano”, Luca Rastello.

L’ho conosciuto tardi, Luca Rastello, e non riesco a spiegarmi come mai. L’ho conosciuto attraverso le sue parole scritte e non dalla sua voce prima che tacesse a causa della malattia. Sto cercando di recuperare e così i mesi scorsi ho preso tra le mani il suo libro I buoni.

Ho avuto difficoltà per molte prime pagine ma poi mi sono appassionata alla vicenda di Aza e del mondo di Andrea, a trovare l’inganno e a smascherare le più meschine e ambigue, apparentemente nobili azioni dei buoni.

I “buoni”, quelli che da copione e nel romanzo stanno dalla parte giusta, perché aiutano il prossimo per lavoro ma guai a chiamarlo lavoro e a pretenderne i diritti, depositari del bene e per questo mai da contraddire. Quelli che usano il linguaggio che avvicina, inclusivo e definitivo. Quelli senza dubbio superiori per la relazione d’aiuto che attivano verso i poveri di ogni ordine e grado e senza la quale non avrebbero parte all’applauso e alla ricompensa, divina ma soprattutto terrena.

La parte che ho trovato più lacerante e dannatamente vera è “Vocabolari”, in cui proprio nel linguaggio si mostra evidente la mistificazione della realtà, che passa per frasi fatte ed espressioni di nuovo conio tutte dedite a esaltare l’azione di salvezza contenuta nella proposta che i buoni rivolgono a una società alla deriva di valori e certezze, priva di beni materiali e garanzie nel lavoro per tutti. Una società che ha bisogno di categorie ed etichette per poter salvarsi e salvare.

Silvano partorisce anche il linguaggio”. E’ una delle frasi più terribili nel passaggio in cui il don che tutti pensano come padre e uomo santo inserisce lentamente ma inesorabilmente le “giuste parole” nell’associazione che dirige e poi nella società civile che ne riconosce la statura morale.

Le frasi a effetto si moltiplicano ma poi sono sempre le stesse, si scopre che non sono originali ma provengono da un pensiero più profondo e complesso, rubato come slogan a uomini e donne che senza farsi pubblicità, in passato e in parallelo, s’impegnano per il bene comune.

Vinceremo la mafia quando imporremo come diritto ciò che viene concesso come favore”, Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Gli irrecuperabili non esistono. Sono un’invenzione della nostra cattiva volontà”, Luigi Ciotti.

Ci avete fatto caso? Cominciamo a farci caso, al linguaggio che usiamo noi per primi: suona a vuoto e suona male come la monetina buttata a terra, il muro senza mattoni dentro? Oppure fa risuonare intenzioni e azioni sincere? Quanto copia e quanto incolla? Quanto usa la rabbia di chi è in difficoltà per fare retorica della vittima e dunque “parlare al posto di” invece di “parlare di”? … per citare una discussione di questi giorni in cui le scrittrici Michela Murgia e poi Chiara Valerio sottolineano la pericolosità di ogni “appropriazione della soggettività altrui” e “usurpazione di una discriminazione”.

Nei mesi scorsi, poco dopo l’annuncio della quarantena imposta, vecchie e nuove associazioni di quartiere, non solo a Roma, si sono date da fare per chi stava rimanendo non solo dentro ma anche indietro. Dentro casa e senza lavoro, indietro rispetto alla scuola e alle relazioni umane. Azioni buone e necessarie. Però. Però notavo spesso il “linguaggio di guerra” e comunque divisorio utilizzato, dal “combattere la paura” al “non accettare passivamente l’autoritarismo distopico” a inneggiare a “una comunità che si difende”.

Il linguaggio è traditore, le persone in difficoltà sono fragili, la comunità che finalmente si ritrova al cinema arena del mio quartiere vedrà come primo film L’odio, premio per la miglior regia al Festival di Cannes nel 1995, storia in bianco e nero fra poliziotti e tre amici nella periferia di Parigi. Perché?

Ci stiamo facendo un favore, stiamo esercitando un diritto o stiamo approfittando del male per diventare paladini del bene e del suo linguaggio anti il male in ogni sua forma codificata? Possiamo usare altre parole non per forza e sempre in antitesi al danno e alla minaccia, che non significa non poterne parlare ma non volerlo fare apposta per assicurarsi un’identità libera e indipendente?

Fa’ strada ai poveri senza farti strada”, Lorenzo Milani.

Ecco, forse Rastello sta qui, nel dare conto in maniera lucida dei limiti e delle contraddizioni che viviamo come esseri umani, nel raccontare il rischio ipocrisia del bene organizzato, nell’accettare di scansarsi per far posto al soggetto della relazione di aiuto e al suo racconto in prima persona. Anzi, per costruire un racconto collettivo.

 

Prima puntata, Il potere delle parole
Seconda puntata, Come parlare e scrivere di periferie?
Terza puntata, La parola modestia in Alice, il sindaco e… un ciliegio
Quarta puntata, Ciliegia, polvere, seggiola. La grande fabbrica delle parole
Quinta puntata, La scelta di Anna, bambina irriverente
Sesta puntata, e parole di casa per educarci alla concretezza
Settima puntata, La mano
Ottava puntata, Farsi prossimi. Negozi di vicinanza e relazioni stabili
Nona puntata, La comunicazione online e il gioco del tè

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