LeggiProve di “restanza”, vivere i luoghi
Foto b/n cortile con panni stesi

Prove di “restanza”, vivere i luoghi

Tutti partono, e ci chiedono se anche noi partiremo. Impossibile rispondere, quando siamo nel numero di quelli che non hanno voglia né di partire né di restare”.
Natalia Ginzburg, La Stampa, 22 agosto 1971.

La scrittrice dal lessico famigliare Natalia Ginzburg rifletteva sull’estate, ma certi pensieri possono essere validi anche in altre stagioni, quando molti si muovono verso la pausa e pochi si chiedono se si tratti di libertà, necessità o moda.

Tra immaginario e antropologia, una riflessione dell’estate scorsa rivaluta la “restanza” che per l’antropologo Vito Teti è “sentirsi ancorati e insieme spaesati in un luogo da proteggere e nel contempo da rigenerare radicalmente”.

Vale, la restanza, per le donne rimaste nei paesi mentre gli uomini da prima del secolo scorso partivano per l’America, per l’Australia dando vita a “paesi d’origine diffusi”, vale per chi è rimasto “fedele ai luoghi” anche quando questi hanno mostrato tutta la loro potenza e fragilità insieme.

È “l’anima dei luoghi”, raccontata dal film del 2018, “Il bene mio”, di Pippo Mezzapesa, con Sergio Rubini nell’ultimo abitante di Provvidenza, paese distrutto da un terremoto. Il suo Elia è un uomo che resiste alla “Nuova Provvidenza”, è un uomo che resta.

Si tratta di scelte non sempre chiare o facili da comprendere, per chi non “sente” il luogo, non lo ri-conosce o ricorda con tutto se stesso.

Ecco, se fosse la restanza anche una scelta creativa e consapevole su dove e come impiegare un tempo di riposo, sia il terribile agosto sia l’intimo dicembre?

 

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Vacanze. Chi resta a casa

 

 

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