Qual è la musica del tuo lavoro?
Quando raccontavo il mondo del lavoro che iniziava a cambiare, a inizio degli anni Duemila, una delle mie domande preferite, in chiusura intervista, era: “Qual è la musica del tuo lavoro?” Era una musica precaria, preparatissima come coloro a cui rivolgevo la domanda, non pensavamo sarebbe stata anche una musica infinita.
Nessuno si stupiva della domanda e nessuno pensava a qualche pezzo noto che facesse da colonna sonora alla sua attività, più o meno quotidiana. Rispondevano, molti, con i suoni tipici del proprio lavoro, dal macellaio all’impiegato postale… quelli del posto fisso, in realtà. Gli altri si divertivano a tirarne fuori uno che fosse riconoscibile e tipico, appunto, più del loro lavoro che allora veniva anche definito “atipico”.
Tutti cercavano di spiegare che la musica che portavano dentro aveva a che fare con una dimensione perfino intima, con ricordi, conversazioni abituali che rincuoravano e davano il ritmo al lavoro in sé. Era una dimensione da indagare, cosa che non ho mai fatto finora.
Ricomincio da me, da un ricordo sonoro appena ritrovato, da abitudini lavorative che ci inchiodavano a cercare la “il pezzo giusto” per sostenere la storia sonora che stavamo costruendo, io e il mio amico e collega per anni, Sergio De Vito, il compositore di tutti i miei lavori audio.
A sua insaputa una nostra discussione – non di quelle sulle composizioni per lunghi audio documentari, ché non basterebbe questa pagina web né una traccia audio per dirlo, ma quella sulla scelta di un brano da una libreria musicale – rientra a tutto diritto nella “musica del mio lavoro”, se qualcuno chiedesse a me quale sia la mia. E non perché di scelta musicale qui si tratta, ma perché si tratta di quei riferimenti, tono di voce, risate, silenzi che caratterizzano un lavoro, la costruzione di storie cioè, fatto di affinità fra persone, ascolti e discussioni infiniti, incontri e scontri, soprattutto molto “dietro le quinte”, materiale che non sarà mai editato, trasmesso, conosciuto. Invece.
Invece questi 120 secondi scarsi stavolta sono resi pubblici. Con un po’ di pudore e divertimento insieme, “perché poi la musica del tuo lavoro”, come mi disse una delle prime persone intervistate, “ce l’hai dentro e la scopri lavorando”. Buon ascolto.