Come parlare e scrivere di periferie?
Seconda puntata di un’ecologia delle parole che nasce da un fastidio.
Sì, mi danno da sempre fastidio i titoli roboanti, le foto sensazionalistiche, le frasi fatte e i luoghi comuni. La chiamo la pigrizia del redattore, costretto in poche righe e sempre con le stesse parole a dare conto di una realtà che si svolge a un passo ma che non è come gli sembra.
Le chiamo parole dal divano, quelle che arrivano da posti comodi e abitudini di pensiero senza essersi mai mosse nella direzione dei fatti che accadono.
Le noto, la pigrizia e il divano, soprattutto quando si affrontano i delicati temi delle periferie, tutte diverse eppure tutte raccontate in modo parziale, riduttivo, semplicistico rispetto alla complessità, proprio là dove maturano i destini del mondo (don Primo Mazzolari).
Come raccontare Scampia, Corviale e soprattutto gli altri luoghi che non hanno motivi architettonici, cinematografici, violenti fino a quando scoppia la violenza, per finire sui giornali e noi scoprire che esistono e c’è disagio e c’è voglia di riscatto? Come evitare pregiudizi e stereotipi?
C’è bisogno di provare fastidio per le parole che stigmatizzano e non spiegano, quelle che etichettano e non riconoscono. C’è bisogno di camminare insieme in quei luoghi per osservare con tempi lunghi la realtà e trovare parole positive e costruttive per raccontarla.
Lo faccio insieme a Davide Cerullo nel pezzo uscito oggi 19 gennaio 2020 sull’Espresso, dal titolo La faccia sbagliata delle parole, appunto:-)
Prima puntata, Il potere delle parole