Farsi prossimi. Negozi di vicinanza e relazioni stabili
C’è un verbo che mi ha fatto sempre sorridere, è appropinquarsi. Forse per tutte le p che contiene e che fanno inciampare, forse per la q che non ti aspetti, forse perché è un verbo alla Totò e ai suoi giochi con le parole e coi vizi e vezzi della gente.
Sta di fatto che è un verbo che usiamo poco, pochissimo e che invece è così bello nel suo significato di farsi prossimo, indicando il passaggio da uno stare, altro meraviglioso verbo, a un altro stare. Prossimo, la persona con cui viviamo, prossimi quelli che ci sono vicini, vicinissimi. Prossimità, una dimensione fisica che solo fisica non è.
Il decreto Conte per la ripartenza inaugurata dal 4 maggio li aveva chiamati congiunti, i prossimi di casa e per ius sanguinis, e aveva sollevato lo sgomento, le proteste e l’ilarità di molti ma non moltissimi, me compresa. Non aveva colto come vivono molte persone e qual è il loro welfare senza andare lontano e toccarsi le tasche: l’iperfamiglia, come ricordato dalla scrittrice Elena Stancanelli a inizio quarantena, “quella rete di relazioni che ci costituisce come persone nell’arco della vita”. In pratica aveva annullato lo ius soli, il Dpcm del 26 aprile scorso, si consenta la battuta, qui la condizione di chi sta solo a vivere di prossimità stabili e godere degli stessi diritti di tutti per la salute di tutti.
Delle prossimità stabili che frequento più assiduamente nel mio quartiere e che mi sono mancate di più durante i mesi di fermo, ci sono Alessio il libraio e Alessio il parrucchiere. Entrambi hanno riaperto le loro attività il 18 maggio scorso, con entrambi ci siamo tenuti in contatto nei mesi precedenti ragionando sulla situazione del momento come non ho fatto con congiunti, colleghi e altri prossimi. Non è un’abitudine nata ora ma cominciata ogni sabato di calendario e ogni altro giorno in cui tornata dal lavoro potevo ancora affacciarmi alle vetrine dei loro negozi e chiedere, “tutto bene?” E poi in poche parole e un sacco di risate ci dicevamo com’era andata la giornata indaffarata. Buffo che iniziato il lavoro da casa per me sia finito il lavoro in negozio per loro: certe prossimità sono state messe alla prova in tempi di coronavirus, alcune sono rimaste stabili nella lontananza, altre hanno chiuso. Chiude Mondi Caffè sotto casa, mentre sto scrivendo queste righe. L’ultimo signor Mondi mi dice che non è la crisi, “non c’è ricambio generazionale”.
Trovare congiunti che vogliano continuare l’esperienza di famiglia che durava da sessant’anni in questa semiperiferia romana è evidentemente difficile. Nel centro storico la situazione non è migliore, anzi. Pochi i fermenti commerciali e pochi i movimenti continui di persone.
Nella periferia, invece, le persone hanno continuato a muoversi, a popolare il paesaggio sonoro dalle finestre e dai balconi, a scendere per strada e aspettare il tram, a farsi prossime restando in fila per bisogno e aiuti: davanti alle Asl, davanti agli uffici postali, davanti alle strutture di distribuzione pasti e con le associazioni nate per l’occasione. Umanità in attesa, Waiting for Godot.
Anni fa, durante un incontro fra universitari chiamati a interrogarsi sul loro futuro, una ragazza che studiava medicina chiese a voce alta “Chi è il mio prossimo?”, altissima domanda a cui non le fu data risposta se non abbassando lo sguardo e la mira, girando la faccia a chi aveva accanto, uno qualunque fra noi, che non eravamo speciali per nessun motivo ma facilmente prossimi per mettere alla prova la sua ansia di creare ponti e guarire le giornate.
Alessio il librario e Alessio il parrucchiere, e poi Rosanna la barista, Rosa che dà una mano al banchetto della verdura, Deborah che fa il pane, sono i negozi di prossimità, quelli che da sempre fanno da punto di aggregazione sociale e puntello del paesaggio urbano prima della grande distribuzione dentro e fuori il Grande Raccordo Anulare. Saranno loro, rilevano dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, a farci reagire al rischio di isolamento sociale già con la loro presenza, che dovrà essere a superficie ridotta, centrata sull’aspetto relazionale e capace di interagire con l’ecommerce. Sono le attività di chi s’è inventato video per spiegare come fare tinta e piega a casa, di chi ha usato la bici per veloci consegne a domicilio, di chi il pane l’ha anche regalato e non s’è fermato mai a creare, più o meno consapevolmente, relazioni stabili che migliorano la vita nei quartieri e i rapporti fra vicini di strada e di casa.
Non sarà un caso allora, né solo una questione di nome, che poi col parrucchiere parliamo di un libro e col libraio di mode del momento. Sarà la specializzazione di mestiere e la commistione fra esperienze a fare la differenza nel prossimo futuro. E ciò vale, io credo, non solo per i negozi di vicinanza ma per chi si riconosce un po’ più vicino agli altri da non avere paura di mettere a disposizione le proprie parole e il proprio tempo per abbassare la saracinesca ogni sera e tirarla su di nuovo il giorno dopo. Insieme, ché pesa di meno.
Prima puntata, Il potere delle parole
Seconda puntata, Come parlare e scrivere di periferie?
Terza puntata, La parola modestia in Alice, il sindaco e… un ciliegio
Quarta puntata, Ciliegia, polvere, seggiola. La grande fabbrica delle parole
Quinta puntata, La scelta di Anna, bambina irriverente
Sesta puntata, Le parole di casa per educarci alla concretezza
Settima puntata, La mano