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La comunicazione online e il gioco del tè

“Qualcuno legge i suoi appunti davanti al microfono. Gli altri ricopiano nei quaderni ciò che viene letto. Alla fine, accade qualcosa: una parola che non si può più ricopiare, solo ascoltare. Se questa parola attira l’attenzione è perché viene messa in scena”.

Si chiama “Il tè senza tè” ed è un breve racconto che fa parte della raccolta L’insperata di Christian Bobin. No, non è un manuale di comunicazione, non è il tema di un webinar del periodo Covid, e Bobin è solo un autore conosciuto in Francia e molto poco in Italia che scrive in una prosa poetica le sorprese e la grazia delle piccole cose.

Del racconto mi attira tutto ma quelle righe in particolare fanno luce improvvisa su una semplice e profonda verità, su noi stessi alle prese con vecchi e nuovi modi di comunicare: resta la parola che riesce ad arrivare alle orecchie senza bisogno di diventare un appunto veloce che nessuno leggerà un’altra volta, resta la parola che diventa memoria nel momento stesso in cui supera la distanza tra il microfono del relatore e la platea, ovunque essa sia. Resta la parola che viene messa in scena, che prende corpo. Le altre sono titoli, finiscono nel copia-incolla a catena, sbiadiranno col tempo qualunque sia il loro supporto e la loro materia. Facciamoci caso.

Ho partecipato e organizzato, come molti in questo periodo, a diversi seminari, riunioni, dirette e incontri su diverse piattaforme online, non tantissimi a dire il vero, penso quelli giusti e necessari per lo scopo che indicavano nell’invito e che è stato sempre rispettato.

Mi sono rimaste appiccicate addosso solo le parole che segnavano un’esperienza, concretizzavano l’invito, ponevano domande per cui anche il silenzio era una risposta possibile, giocavano con chi stava in ascolto e con chi metteva a disposizione idee e progetti.

Nei nostri collegamenti dai posti più curati o improvvisati o vissuti di casa, a volte popolata dai suoi disinvolti personaggi, ho notato che c’è ancora il timore di apparire in video nonostante la moda del tempo, di scrivere in diretta in chat collettive, di fare la seconda domanda, di tirare nella conversazione quello in disparte, a volte si risparmia sull’ironia e sull’approfondimento. Non sono caratteristiche legate alla tecnologia, quella che ci mette alla prova come bravi o meno bravi corrispondenti da interna, forse è un eccesso di zelo nel rispettare un presunto stile di comunicazione ancora da sperimentare, invece. Insieme.

Occhio che la messa in scena accennata da Bobin è solo la prima forma del porgere parole che durino più di un appunto.

Se manca la circolarità della comunicazione, la possibilità di cambiare al volo la scaletta, dare e prendere parole come ciliegie, tenere il tempo e pure il ritmo, la soluzione e la nostalgia è “il tè senza tè”, l’infanzia senza rimedio.

“Quel giorno dei bambini ti chiamano come ospite per un gioco, un banchetto di bambole. In fondo al giardino, ti invitavano a condividere, stretti stretti dentro a una capanna di lamiera ondulata, un tè senza acqua, un tè senza tè, un tè assente versato in tazze di plastica sporche”.

Chiunque abbia accettato l’invito e partecipato ai riti dei bambini sa quanto sia curato ogni gesto, quali e poche parole siano funzionali alla scena, quanto contino il silenzio e i respiri. Quanto l’imprevisto sia sempre in agguato.

Non è tutto questo meravigliosamente vicino all’adulto alle prese con la comunicazione che nell’ultimo periodo ha dovuto fare a meno della sua dimensione fisica ma che vive in nuovi e ormai noti ambienti diffusi? Non rivendica, a un certo punto, il diritto a lasciare, staccare, chiudere e lasciar respirare quanto si è vissuto quando eravamo al pc collegati col piccolo mondo, pure se ogni tanto cadeva la linea?

Non esige, questa comunicazione, una partecipazione vera al banchetto e non un mero collegamento? Proviamoci.

Prima puntata, Il potere delle parole
Seconda puntata, Come parlare e scrivere di periferie?
Terza puntata, La parola modestia in Alice, il sindaco e… un ciliegio
Quarta puntata, Ciliegia, polvere, seggiola. La grande fabbrica delle parole
Quinta puntata, La scelta di Anna, bambina irriverente
Sesta puntata, Le parole di casa per educarci alla concretezza 
Settima puntata, La mano
Ottava puntata, Farsi prossimi. Negozi di vicinanza e relazioni stabili

 

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Testi a pezzi

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