La scelta di Anna, bambina irriverente
Mi ero messa in testa di raccontare una storia di donne a più voci, sai che novità. La dico meglio, volevo raccontare di una voce con più donne dentro, ecco, tutte insieme, tutte stipate: c’è chi fa a botte per trovare aria e chi ne soffre, chi grida cercando il lavoro e i calzini spaiati di lui, chi s’inchina e chi si fa regina, chi quasi non ha più fiato per il carico emotivo che si porta dentro, chi canta.
Poi arriva l’influenza, perdo la voce e gli scambi del gruppo whatsapp dedicato al tema diventano più intensi e febbrili quasi come le troppe notizie imprecise e contrastanti relative al virus di questo periodo. La comunicazione nelle emergenze è affare complesso, altrimenti è infodemia. Altrimenti non se ne fa niente e scatta il piano B, ci diciamo. E quale sarebbe?
Mentre restiamo sospese sul piano B e ne proponiamo uno C, le colleghe e io a distanza, mi vengono in mente due scene che ancora una volta si sono svolte poco tempo fa nella libreria di quartiere, ormai crocevia di storie locali e messaggi universali ovviamente, un ordinato porto de’ mare, nei fatti.
La prima scena ha come protagonista una maestra di scuola che cerca un libro di favole alternativo e, arrivata all’ultima pagina del libro per bambini La principessa e il drago, lo chiude dicendo, “Be’, è un bel libro pure se non finisce bene”.
Per info e scusate lo spoiler, la principessa fa secco il drago e salva il suo principe che, rivelatosi così poco gentile e tanto presuntuoso, viene lasciato. Salvato e lasciato.
Signora maestra, dico a lei, non ha sentito dentro un’atavica rabbia e un doloroso dispiacere alle parole sgraziate del principe rivolte alla giovane donna sporca e fiera dopo aver combattuto per lui? Non sente quell’intimo sollievo e ironica soddisfazione in un finale che è comunque consapevolezza di vivere felici e contenti “a prescindere”, con altre avventure da raccontare e permettere di vivere ai suoi piccoli alunni?
La seconda scena ce la racconta Lucia, e ha come protagonista sua figlia Anna di dieci anni che al compito da svolgere a casa “Scrivi di una donna che ti piace” non ha scelto sua mamma, l’insegnante di ginnastica o la cantante che va di moda. Lei ha scritto di Artemisia Gentileschi. Proprio Artemisia, la prima donna ammessa all’accademia delle arti del disegno, potente nella scelta dei soggetti, nel tratto vero e poetico, nella storia personale fatta di violenza e riscatto, di pregiudizi e giudizi.
E lei restò fedele alla sua arte.
La maestra si è complimentata con Lucia, che ha dovuto semplicemente ammettere che lei non c’entra nulla con la scelta di sua figlia, che probabilmente da un altro libro ha tirato fuori la storia di una donna che l’ha particolarmente colpita, e sarebbe bello leggere la sua pagina a righe.
Sarebbe bello farla leggere alla maestra della prima scena, in cerca di finali alternativi per la storia di uomini e donne alle prese con la propria realizzazione come persone, amanti, famiglia, comunità d’intenti e di fatti. Fatti nostri.
Mi ha fatto ridere la copertina del libro che scelgo come immagine di questo post: Ma le principesse fanno le puzzette? Così irriverente… Che è una parola bellissima, irriverente: atteggiamento o persona che non prevede la riverenza, le moine… il plié, il rond de jambe… che sceglie di stare su due gambe e usare una testa.
Perché se l’educazione di massa finora ricevuta ci vuole, noi donne, alle prese col pallore e il timore di principesse in attesa di essere salvate, risvegliate, rapite e poi sposate, l’educazione nel significato più ampio e vero della parola ci vuole soggetti di una storia tutta da costruire, in ogni ruolo, ambito e insieme a chi scegliamo ci accompagni per poco o lunghi tratti e con cui ridere, ridere tanto. Come fa Lucia, bambina irriverente.
E qualcuna dirà, ma tutte le mie amiche sono impiegate e dirigenti, madri consapevoli e soddisfatte, compagne di vita pari all’uomo che hanno accanto, senza problemi. Forse, anzi per certo lo diamo. Eppure… il rapporto del 3 marzo di WeWorld onlus “Mai più invisibili. Indice 2020 sulla condizione di donne, bambini e bambine in Italia” segnala altri dati, in una visione totale dell’Italia a due velocità con un grosso problema alla base, proprio l’educazione e poi l’occupazione femminile.
A livello nazionale il tasso di occupazione femminile per le donne tra i 20 e i 64 anni è tra i più bassi in Europa: 52,5% rispetto a una media EU28 del 66,4 per cento. E la quota di donne occupate in Italia settentrionale e centrale è il doppio di quella nel Sud: va dal 69,8% del Trentino-Alto Adige al 31,5% della Sicilia. Scarsa partecipazione delle donne al lavoro e alla vita pubblica, inoltre, ha conseguenze dirette in termini di povertà economica e indirette sulla povertà educativa dei bambini. A ciò vanno aggiunti i dati sconfortanti della spesa pubblica dell’Italia in educazione: il 7,9%, al di sotto di tutti gli altri paese europei. La spesa media dei paesi Ue per l’educazione come percentuale della spesa pubblica totale è del 10,2% (fonte, elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat).
Di cosa stiamo parlando?
Forza piccola Anna, siamo con te. No, non è vero ma tu cerca di essere sempre più irriverente nei nostri confronti e pretendi.
Prima puntata, Il potere delle parole
Seconda puntata, Come parlare e scrivere di periferie?
Terza puntata, La parola modestia in Alice, il sindaco e… un ciliegio
Quarta puntata, Ciliegia, polvere, seggiola. La grande fabbrica delle parole